Iran, 1 anno fa moriva la ragazza
diventata simbolo della protesta
L'immagine in Rete per errore
distruggeva un'altra esistenza.
Teheran, 20 giugno 2009, un anno fa. Negli scontri di piazza che seguono la contestatissima rielezione di Ahmadinejad muore una ragazza, uccisa dagli spari dei miliziani. Di lei si sa che si chiama Neda, che è una studentessa. Nel giro di poche ore il video della sua agonia fa il giro di YouTube e finisce sui giornali di mezzo mondo. Quel filmato- immagini sgranate, girate al volo nella calca- diventa il simbolo dell'Onda Verde. Il cognome di Neda, all'inizio, non lo sa nessuno. Tutto quello che si conosce- che si crede di conoscere- è l'indirizzo del suo profilo Facebook, la cui schermata gli autori del video inseriscono alla fine del filmato. «In memoria di Neda Soltani», scrivono sui titoli di coda.
In realtà, si scopre più tardi, il cognome della vittima è Agha-Soltan. Neda Soltani vive sì a Teheran, ma ha trentadue anni, lavora come assistente di letteratura inglese all'università, si è specializzata nella poetica di Joseph Conrad e, soprattutto, in quella piazza non c'è mai stata. «Abbiamo sbagliato, la foto pubblicata non è quella della vittima», si scusano i grandi network, dalla Cnn in giù, quando la signora Agha-Soltan mostra al cronista del Guardian il vero viso della figlia.
La vita dell'altra Neda, però, cambia di colpo. Nel giro di un mese è costretta a lasciare il Paese, a chiedere asilo politico in Germania, a trovare un nuovo lavoro. Succede perchè il regime, che a un anno di distanza non ha ancora chiarito la dinamica della morte di Neda, cerca di sfruttare l'errore delle tv internazionali per dimostrare che non c'è stato nessun omicidio, che la campagna in memoria dell'«angelo dell'Iran» è un falso organizzato dall'opposizione. «Il governo iraniano ha cercato, offrendo diverse versioni, di attribuire ad altri la responsabilità dell’assassinio- dice lo scrittore Ahmad Rafat-. Pochi giorni dopo l’uccisione di Neda fu arrestato il suo fidanzato, che subì pressioni psicologiche e torture per attribuire la responsabilità dell'omicidio ai Mujaheddin del Popolo, un gruppo dell’opposizione. Una seconda versione è quella di Mehdi Kalhor, consigliere culturale del presidente Ahmadineajd, che punta il dito contro gli ambienti monarchici. La terza versione sostiene che Neda fosse un’attrice al soldo dei britannici».
Il regime, dunque. Ma in realtà la storia dell'altra Neda parla anche di quanto il Web sia illusorio e ancora difficile da controllare. «Non c'è mai stata una vera e propria Twitter revolution», dice Golnaz Esfandiari, analista di Foreign Policy che punta il dito contro un sistema che avrebbe contribuito a diffondere voci false e informazioni sbagliate. «Quella della protesta nata su Internet- ragiona la Esfandiari- è un'idea affascinante per i media occidentali, ma non rende giustizia a chi ha fatto davvero sacrifici per la libertà».
La Soltani, dopo la fuga, è rassegnata: «Ho lavorato dieci anni per costruirmi una carriera. Guadagnavo, ero indipendente, avevo un gruppo di amici e delle prospettive. Volevo solo crescere, uscire e divertirmi. Poi, di colpo, ho perso il controllo della mia immagine», dice dal suo appartamento a Offenbach, a nord di Francoforte. La ragazza spiega che trovarsi improvvisamente sui siti degli attivisti, sulle magliette, «è stato choccante. Mi lasciavano messaggi sulla pagina di Facebook, la mia casella mail era piena di lettere. Spiegare che in realtà ero viva non è servito a niente».
In Germania non conosce nessuno. Ha appena iniziato a lavorare come insegnante privata di inglese, guadagna poco. Lo Stato le passa 180 euro al mese. «Ho perso tutto, e non so che cosa ci faccio qui- racconta-. Sogno di tornare alla mia vecchia vita, ma so che non sarà possibile». Ogni tanto sta male: attacchi di panico, ansia. Non rimpiange di aver aperto un profilo su Facebook, ma se la prende con la superficialità di chi ha preso la sua foto e l'ha trasformata in un'icona senza verificare nulla. Con chi l'ha obbligata a scappare. «Mi hanno rubato l'identità- dice- e non mi hanno lasciato niente. Nemmeno la speranza».

Neda Agha-Soltan e, a destra, Neda Soltani, rifugiata politica

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